CRESCERE CON LE EMOZIONI: UN’AVVENTURA DI GRANDI E PICCINI

Noi tutti abbiamo imparato a sentire emozioni fin da quando siamo nati ed è dai primi istanti di vita che abbiamo cercato di comunicarle; pensiamo solo a quanti pianti abbiamo elaborato per esternare quello che provavamo. 

Le emozioni, fin dal principio, ci hanno permesso di stabilire un contatto con una figura di cura e di iniziare così una relazione.
Il nostro "sentire emotivo" è una competenza che ci accompagnerà per tutta la vita, nella grande avventura che è il saperci rapportare agli altri.

Quando si parla di emozioni probabilmente si pensa subito a quelle più riconoscibili: felicità, tristezza, paura, rabbia. 

Altre appaiono più sfocate e dai contorni meno definiti, anche perché cambiano in base alla complessità della situazione o al modo personale che ciascuno ha di esprimerle, come il disgusto o la sorpresa. 

Molte volte le emozioni sono sfumature di una stessa percezione che cambia in base alla situazione e al nostro sistema percettivo. Pensiamo ad esempio alla rabbia: prima di arrivare alla sua più alta intensità sentiamo quella frustrazione che si accende e mano a mano “sale”, fino ad arrivare alla collera. 

Quando pensiamo alle emozioni, immaginiamole come tonalità emotive, come infiniti modi di sentire le situazioni. Esse, infatti, sono le nostre risposte davanti alle cose che accadono e che ci coinvolgono e sono strettamente legate alle caratteristiche personali di ogni persona; non possiamo, infatti, decifrare e capire esattamente quello che ha provato una persona perché questo sentire è estremamente soggettivo. 

Le emozioni non andrebbero né screditate né giudicate;

sono il nostro personale modo di stare in relazione con le cose, con gli altri e con il mondo.

Le emozioni non andrebbero né screditate né giudicate; sono il nostro personale modo di stare in relazione con le cose, con gli altri e con il mondo.

Saper leggere le emozioni degli altri ci aiuta spesso anche a comunicare con loro e quindi a costruire una relazione con gli altri.
Pensiamo ad un neonato che piange perché ha fame o al bambino che piange nel salutare la mamma a scuola: il pianto è il segno visibile di un bisogno o di uno stato emotivo che chiede all’altro (il genitore) di poter essere capito.
E anche noi genitori, nel vedere l’emozione dei nostri figli, proviamo di rimando un’emozione che ci attiva una risposta. Questo scambio di emozioni che si genera quando siamo in relazione con gli altri, ci aiuta a stabilire con loro una connessione, o può anche determinare un allontanamento dall'altro. 

Quali sono i comportamenti dei nostri figli che suscitano in noi le emozioni più intense? Sappiamo “accettare” di provare anche reazioni che non immaginiamo o che pensiamo siano eccessive?

Quali sono i comportamenti dei nostri figli che suscitano in noi le emozioni più intense? Sappiamo “accettare” di provare anche reazioni che non immaginiamo o che pensiamo siano eccessive?

Sentire per comprendersi: l’intelligenza delle emozioni

Le emozioni, come già detto, sono reazioni personalissime e proprio per questo abbiamo bisogno, come genitori e come adulti, di imparare a riconoscerle e a utilizzarle in modo consapevole e positivo nella relazione con i nostri figli.

Se diamo per scontato, semplifichiamo o banalizziamo le emozioni dei piccoli, si crea quel corto circuito emotivo che interrompe la relazione; se diventano un braccio di ferro o qualcosa da “spegnere sul nascere”, andiamo a minare il benessere affettivo di tutti i membri di quella relazione o quella famiglia.

Più siamo in grado di accettare le emozioni che proviamo (anche quelle che ci hanno insegnato, per buona educazione, che è bene non provare) più possiamo dar loro un nome; e quando diamo un nome alle cose, sappiamo anche che cosa stiamo provando. I bambini piccoli, ad esempio, non sempre sanno decifrare il loro stato emotivo e questo può generare disorientamento o anche paura.

Dare un nome alle emozioni vuol dire riconoscere che sto provando qualcosa e questo qualcosa non mi spaventa più perché so che cosa è

Dare un nome alle emozioni vuol dire riconoscere che sto provando qualcosa e questo qualcosa non mi spaventa più perché so che cosa è

Oltre alla consapevolezza delle proprie emozioni, è necessario anche saperle gestire in maniera positiva nel rapporto con gli altri; ed è per questo che i bambini hanno tanto bisogno di adulti “emotivamente orientati”. Gli adulti possono mostrare per primi, nella vita di tutti i giorni, che le emozioni non sono mai sbagliate o eccessive e che possono essere mostrate e agite in maniera costruttiva. 

Abbiamo bisogno tutti di capire che possiamo utilizzare una vera e propria intelligenza emotiva che, come le altre intelligenze (come sostiene Howard Gardner), ci aiuta a capire le cose, a cogliere i meccanismi di funzionamento e a trovare il modo migliore per trasformare la conoscenza in capacità di agire.

Educare ed educarsi alle emozioni

Le emozioni necessitano di due cose fondamentali: accoglienza e riconoscimento. 

Siamo capaci, come adulti e genitori, di “stare”, di riuscire a rimanere, anche nell'emozione più dirompente di nostro figlio e nelle nostre emozioni più difficili? 

  1. Prima di tutto è necessario sapere che quello che stiamo provando non è sbagliato o giusto ma che è sempre qualcosa che ci aiuta a conoscerci, a capire cosa ci dà fastidio, cosa ci piace, cosa ci fa arrabbiare. Non ci sono emozioni buone o cattive, ci sono cose che sentiamo perché ci raccontano qualcosa (un desiderio, una ingiustizia, una paura,ecc).
  2. Il secondo passo è quello di allenarci a so-stare nelle dinamiche che si attivano con le emozioni. Alcune di queste sono difficili da vivere (pensiamo alla rabbia di nostro figlio quando si butta a terra e urla piangendo perché non può avere ciò che vuole).
    Ogni situazione va gestita nel suo qui ed ora, senza dare etichette o generalizzare (“fai sempre così”, “non provarci nemmeno ad arrabbiarti”), ma ascoltare l’altro lasciando il tempo che l’emozione faccia il suo corso. Noi per primi dobbiamo dare l’esempio che non occorre scappare dalle emozioni, ma che possiamo guardarle e affrontarle.
  3. Il terzo passo è provare a cercare soluzioni per lasciare emergere le emozioni ma in modo sicuro e positivo per noi e per gli altri. Su questo può essere utile aiutare i bambini raccontando noi adulti, per primi, come ci sentiamo e cosa facciamo.

 

Naturalmente ogni età ha bisogno di affrontare il tema delle emozioni in modo diverso.

Nei primi anni di vita (fino ai 2-3 anni) non associamo le manifestazioni emotive a tratti del carattere (“sei un testardo, sei permalosa”) perché questo identifica l’emozione con l’essere e questo non è vero. Noi siamo arrabbiati in alcune occasioni, non a prescindere; siamo felici o tristi non di attitudine personale, ma perché qualcosa accade o non accade come immaginiamo.

Dai 3-4 anni possiamo cominciare a raccontare come viviamo le emozioni, parlandone con i nostri bambini dopo che è accaduta una situazione (inutile farlo prima, è sempre meglio che questo sia legato ad un vissuto reale accaduto) oppure possiamo leggere storie e riflettere insieme su come si sono sentiti i personaggi.
Non dobbiamo preoccuparci di “spiegare” come funzionano le emozioni o dire i nomi di tutto ciò che possiamo sentire; dobbiamo allenare noi e i nostri bambini a saper cogliere quei segnali che ci raccontano come stiamo (“mi sono sentito da solo, ho avuto paura che non ci fossi più”) e imparare a comunicarli agli altri. 

Educare alle emozioni è prima di tutto educarsi ad accettarsi e comprendersi per ciò che siamo, senza pensare di essere giusti o sbagliati per poter stare bene nelle nostre relazioni.

Educare alle emozioni è prima di tutto educarsi ad accettarsi e comprendersi per ciò che siamo, senza pensare di essere giusti o sbagliati per poter stare bene nelle nostre relazioni.

Questo articolo è stato scritto da: Monica Salsi

CHI SONO?

Sono una pedagogista e formatrice in libera professione. Sono laureata e dottoressa di ricerca in Pedagogia.

Sono moglie e mamma alle prese con due piccoli di 3 anni e mezzo e 9 mesi.  Cerco nei precari equilibri quotidiani quei piccoli gesti che nutrono la meraviglia, e in questo stupore, per me, c’è ogni volta un dono. Ho sempre pensato che per capire dove vogliamo andare abbiamo bisogno di sapere chi siamo. Per questo ho deciso di occuparmi dell’umano e del suo sviluppo. E forse anche per questo mi piace pensare di non essere ancora la versione ultima di me stessa.

IL MIO LAVORO

Accompagno professionisti e genitori nell'approfondire e realizzare quotidianamente le proprie competenze e chiavi educative, imparando a costruire relazioni in dialogo con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. 

Per fare questo propongo percorsi individuali e di gruppo sui temi dell’educazione alla relazione e all'affettività, percorsi di empowerment della genitorialità e formazioni specifiche per i professionisti dell’educare (insegnanti, educatori e mondo extrascolastico).

MONICA E ATOMIC BABY

Tra me e Sara è bastata una chiacchierata per sentire quella sintonia e quell'energia positiva che si è trasformata in una voglia matta di collaborare.

Il nostro desiderio è quello di offrire ai genitori (e non solo) un supporto  che mira a sviluppare competenze sociali ed emotive per raggiungere il rispetto reciproco, una comunicazione efficace con i nostri bambini e una gestione dei conflitti nelle relazioni.

In che modo? Attraverso pillole, consigli e articoli sul blog e sui social di Atomic Baby oppure chiedendo alle ragazze atomiche i miei contatti per una consulenza face to face.

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